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Pietro Cavallaro: “Le cose belle prima si fanno e poi si pensano”

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Provi a fare una chiacchierata leggera con Pietro Cavallaro su Riccione e lui, con la sua risata contagiosa e con una forza invisibile, pari alla vigoria della sua stretta di mano, ti solleva e ti assesta un montante su fede e preghiera per poi rilanciare sul senso della vita e l’attenzione per gli ultimi. Pietro è così, la vita di Piero è così. Un omone generoso di 79 anni che a dispetto dei suoi profondi occhi azzurri arriva dalla sicilia a Riccione nel 1961, con la voglia di chi a casa non ha trovato occasioni, cercandone lontano. Casa per Pietro è stata all’inizio Aci San Filippo, paese di mille anime del catanese, da più di cinquant’anni è Riccione.

DALLA SICILIA A RICCIONE
“Amo profondamente Riccione, mi piace però sottolineare il mio essere siciliano”.
In che cosa? “Nel valore e nel senso che noi siciliani diamo alla parola accoglienza, gente che ti butta giu’ casa per metterti a tuo agio, l’importante è non essere scorretti”. Un po’ come in Romagna? ”Si, anche se all’inizio non è stato facile”.

IL DIFFICILE INIZIO
In che senso? “Eravamo nei primi anni ’60 e mi è capitato anche di sentirmi negare un contratto d’affitto per casa perché ero un “marocchino”. Stessa cosa sul lavoro quando dovevo fare “la stagione” in un istituto di credito locale ma non ero un impiegato a km zero. Ma poi la vita ti insegna che il bene c’è, basta avere fiducia”. Cioè? “Nel senso che poi le persone in gamba ci sono, nella fattispecie Vezio Amati dell’Ufficio Collocamento di allora, capace di riportare alla lucidità chi mi chiedeva il pedigree invece che competenze”. E quindi la stagione in banca l’hai fatta? “Assolutamente sì, avevo poco piu’ di vent’anni e con quei soldi aiutavo anche a casa”. Ma Pietro Cavallaro a Riccione è soprattutto colui che ha lavorato una vita presso il notaio Leziroli prima, i Pelliccioni e Colucci poi… “Un’esperienza professionale che mi ha dato tante soddisfazioni ed amicizie. Spesso mi sono trovato nella posizione di poter aiutare persone in difficoltà: evitare protesti, cambiali o altre disavventure, attraverso una collaborazione fatta di fiducia e condivisione”. A Riccione come ci sei arrivato? “In cerca di lavoro. Il mio primo impiego in verità è stato a Torre Pedrera in una ditta ortofrutticola, ero il ragioniere tuttofare. Per capirci, scaricavo anche le casse di verdura e di frutta”.
E com’è stato il primo impatto? “Positivo. Ricordo le sessanta donne al banco, lavorando i prodotti conversavano in dialetto: tutta la mattina a parlare di bordelli, non potevo crederci! Poi ho capito, “burdel” era il bambino”.

UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO
Il lavoro ti ha portato da queste parti, l’amore poi ti ha fatto mettere le radici. “Per andare a Torre Pedrera prendevo l’11 e poi il 4 e dopo mesi di sguardi e timidi saluti ho finalmente trovato il coraggio di avvicinare la ragazza che incrociavo ogni giorno (la moglie Mariella), venendo da Gatteo prendeva pure lei il 4”.

LA FAMIGLIA NUMEROSA
4 un numero magico, verrebbe da dire: come il numero dei vostri figli… “Proprio così, Davide, Amanda, Sara e poi Gennaro bambino avuto in affido a 7 anni”. Una scelta di vita importante… “Era il 1977, avevamo costituito un gruppo di preghiera con altre famiglie e ci interrogavamo su cosa facessimo per essere dei buoni cristiani; frequentando Don Oreste Benzi venimmo a conoscenza di come in Emilia Romagna ci fosse il problema della deistituzionalizzazione dei minori: 10 mila bambini chiusi in orfanotrofi, conventi e istituti. In poche settimane, confrontandoci in famiglia, facemmo la nostra scelta e arrivò Gennaro. Fu la scelta giusta. Solo negli anni ’90 l’affidamento educativo temporaneo ha poi trovato una sua collocazione normativa ed è stata una lunga battaglia”.

L’ESPERIENZA DI DIFENSORE CIVICO
A proposito di impegno civile, in molti ricordano la tua esperienza di difensore civico. E’ vero che vincesti pure delle “primarie?”. “Non so se si possano definire così. Di certo a pochi mesi dalla fine del suo mandato il Sindaco Terzo Pierani volle nominare la figura di Difensore Civico e per questo vennero consegnati nelle case dei riccionesi dei moduli dove inserire cinque preferenze”. E vinse il “marocchino?”. “Si fui nominato io, poi confermato dalla seguente giunta Masini”. Che esperienza è stata? “Esaltante. Ho scoperto di poter essere fattivamente utile per i cittadini nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, risolvendo piccoli problemi quotidiani ma anche grandi questioni”. Tipo? “Una volta una signora di 83 anni era disperata perché il lampione stradale che le faceva compagnia davanti al tinello di casa fosse fuori uso, da settimane veniva rimbalzata da un ufficio all’altro. Con una telefonata riuscimmo a risolvere la questione, ancora ricordo la felicità di quell’anziana signora. Un’altra volta sono riuscito a sbloccare un rimborso economico per un cittadino che aveva la “colpa” per un impiegato degli uffici di “essere facoltoso e troppo fascista”. Per questo la sua pratica slittava. Assurdo”. Dopo cinque anni il regolamento prevedeva le tue dimissioni… “Esatto, ma all’unanimità tutto il Consiglio Comunale cambiò il regolamento e mi chiese di continuare per altri cinque anni. Fu per me un attestato di stima importantissi- mo dei riccionesi, ne vado fiero”.

ANCORA RICCIONE
Se ti dico Riccione, quali sono i primi tre nomi che ti vengono in mente? “Terzo Pierani, Don Oreste Benzi e Don Giuseppe Celli”. E il tuo sogno per Riccione? “La nostra è una città ricca, vorrei che una parte di questa ricchezza fosse utilizzata per i piu’ poveri, i deboli, gli emarginati. Ma senza tanti fronzoli e cerimonie”. Pietro vola alto ma sembra rendere tutto piu’ semplice un po’ come quando Don Oreste diceva “Le cose belle prima si fanno e poi si pensano”.

Francesco Cesarini

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