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Edmo Vandi tra violino e fisarmonica

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Dal violino di un soldato polacco alla fisarmonica comprata a rate Edmo Vandi si racconta musicista. Una passione grande ma non come quella per… il ballo.

La mia “carriera” musicale iniziò che avevo dodici anni. Era da poco “passato il fronte” quando mio padre mi mise in mano un violino che aveva barattato con un soldato polacco per un fiasco di vino annacquato. La consegna fu di imparare a suonarlo. L’ingrato solfeggio mi era già stato imposto nella Scuola di Musica di Paese (sede oggi della Scuola Elementare) che avevo già frequentato per tre anni. Le lezioni di violino iniziarono tosto dal maestro Franz Gualdi a casa sua in un viale della zona Alba. Le frequentai volentieri perché, in seguito si verificò una tenera simpatia con sua nipote che si chiamava Giancarla.

VANDI ED IL MAESTRO BARTOLUCCI JUNIOR

Esaurita la simpatia finirono anche le lezioni del paziente Franz, per cui fu necessario trovare un altro maestro. Mio padre conosceva i “Lavradòr” (Bartolucci) sopratutto il Senior al quale era attribuito il detto “…. e fnès in gnint cumè e valzer ad Lavradòr” dovuto al fatto che il suo problema erano i finali che terminavano in niente come un fievole sospiro. Il figlio, Guerrino, si era diplomato al Conservatorio Musicale di Pesaro ed era giunto addirittura a far parte dell’Orchestra Santa Cecilia diRoma. Ma poi, si disse, una cocente delusione amorosa lo fece fuggire dalla Capitale per tornare a Riccione dove prese in affitto un monolocale in Piazza Matteotti (dove oggi c’è la sede dello IOR). Mio padre combinò le condizioni e così inziai a “sviolinare” nell’angusta cameretta. Ma il “Professore”, come veniva chiamato, ospitava anche sei gatti, non c’erano fi- nestre e il fetore era insopportabile, così si arrivò a decidere di tenere le lezioni a casa mia. Lavradòr junior accettò ma a patto di venire a mezzogiorno o alle venti di sera quando, guarda caso, mia madre, la Lucina, cucinava divinamente. Il tutto durò solo otto mesi quando trovai il violino troppo difficile (le note bisogna crearle) e mi innamorai della fisarmonica. Guerrino non si lamentò. Io non ero di- ventato Paganini ma lui era ingrassato di quattro chili.

LA FISARMONICA E MARIO DE PIN

La fisarmonica la comprai per corrispondenza. Da Castelfidardo mi arrivò in una cassetta di legno piena ditrucioli, una Soprani – 80 bassi, nera. 30 mila lire da pagarsi in dieci rate mensili. Il maestro questa volta fu “Mario de Pin” con lezioni nella sua casa in Via Ma- chiavelli che raggiungevo in bicicletta , lo strumento a zaino sulle spalle. Durò un anno poi formai l’”Orchestra”, cioè un Duo con il chitarrista “Grigurièt” che abitava in Via Corsica e faceva il Messo presso Il Tribunale di Rimini. Suonavamo nelle feste private a duemila lire a sera.

LO STOP ALLA MUSICA…

Mi piaceva ma la mia carriera di orchestrale finì bruscamente una sera quando una ragazzotta che si chiamava Mafalda e con la quale da qualche tempo filavo, ballò tutta la sera “guancia a guancia” con un falegname di Santandrea in Besanigo di dieci anni più grande di noi. Mi sentii l’umiliato portatore del classico “mocco- lo” e così decisi, di punto in bianco, diappendere la fisarmonica al chiodo e di passare dall’altra parte, cioè di quelli che ballavano. Intanto avevo compiuto 18 anni e mi lanciai nel mondo sconvolgente e tentatore della notte. A Riccione nella Casa del Popolo e da Marein, a Rimini al Floreal e da “Pagnòch”. D’estate invece a schivare la consumazione al Vallechiara, al Florida o al Savioli. Ma a parte queste leggerezze la musica me la sono sempre sentita, e me la sento tutt’ora, dentro.

I DUBBI SULLA MUSICA SINFONICA

Mi piace tutta, dal Jazz al Pop fino alla Liri- ca con un amore sconfinato per Puccini. Qualche difficoltà l’ho avuta con la Mu- sica Sinfonica, trovandomi a condividere l’opinione di un ragazzino di dieci anni il quale, in una sera d’estate, in una sala del Palazzo del Turismo, aveva assistito in prima fila, attento e silenzioso accanto ai genitori, ad uno sfibrante concerto di Musica Sinfonica. Alla fine ritenni oppor- tuno, nella mia veste di presentatore della serata, di chiamarlo sul palco per un doveroso applauso del pubblico (che avven- ne scrosciante).

Ma alla mia domanda: “La prossima settimana avremo un altro Concerto Sinfonico, immagino che vorrai essere ancora dei nostri”, la risposta fu chiara, secca e tagliente: “Manco morto!”.

Edmo Vandi

 

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