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Mario Semprini eroe per caso e tra i fondatori della Polisportiva San Lorenzo

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Mario Semprini sorriso sornione, carattere a tratti spigoloso, ma di cuore grande e generoso, capace di donarsi a tutti gratuitamente, fino a rischiare la vita. E poi grande protagonista della Polisportiva San Lorenzo, sempre in prima fila per dare sostegno ai ragazzi.

Mario Semprini tutti lo ricordano per il suo impegno per la Polisportiva San Lorenzo ma forse non tutti sanno che la sua generosità si palesò, questa volta in modo drammatico, già durante la guerra. Era la fine del 1944, quando un aereo caccia, partito dall’aeroporto di Miramare, si schiantò in un campo a San Lorenzo. Il suo gesto eroico permise al pilota di salvarsi, poco prima dell’esplosione del velivolo. Protagonista di questo e di altri episodi, degni di nota, è stato il riccionese Mario Semprini (Riccione, il 29 giugno 1923 -14 marzo 2014), cofondatore della Polisportiva di San Lorenzo, già contitolare di un’impresa edile e dell’Hotel Elios.

SAN LORENZO 1944, MARIO SALVA UN PILOTA
A tracciare la sua “carta d’identità” è il fratello minore, Luigi Semprini, noto ingegnere in pensione, e altre persone che l’hanno conosciuto da vicino. “Quell’atto che Mario, penultimo di nove fratelli (due gemelle morirono a soli quindici mesi), fece allora, fu di puro eroismo – premette -. L’aereo precipitato nel campo, vicino a casa nostra, poteva esplodere da un momento all’altro, cosa che poi accadde, ma mio fratello, con un coraggio da leone, senza pensare al rischio che stava correndo, si precipitò sul luogo del disastro, consentendo di recuperare il pilota, poi soccorso dal comando inglese”.

LO STRAZIO DELLA GUERRA
Al periodo della seconda Guerra mondiale risale un’altra tragica storia che coinvolse l’allora giovane Semprini. “ Accadde nella notte tra il 4 e il 5 settembre 1944, una delle più tragiche vissute a Riccione durante il passaggio del fronte. Gli alleati erano al di là del Rio Melo e i bombardamenti dal mare non concedevano tregua. Puntavano all’incrocio tra viale Veneto e la Flaminia per sbarrare la strada a chi proveniva da Coriano e da Rimini. Ci eravamo riparati in un rifugio, ricavato nella fossa di viale Venezia, dove c’era un campo di famiglia. Quella notte fu un inferno di batterie tedesche. Le mitragliatrici non concedevano tregua, intanto i pagliai incendiati ardeva- no. Andai in viale Venezia verso la casa dei mugnai, tutti feriti, e vidi Mario che fasciava la figlia maggiore, colpita con violenza all’inguine. La strada che portava all’ospedale era sbarrata. Mario per portarla dai medici fu costretto ad aspettare che facesse giorno, cercò in tutti i modi di salvare ragazza, poco più che ventenne, ma ogni soccorso fu vano. La giovane morì”. Brutte storie che a Mario non hanno però tolto la gioia di vivere.

Dopo aver fatto il muratore Mario entrò nell’impresa edile con il fratello primogenito, Orazio. Lavorava per Ferrovie dello Stato nel tronco tra Rimini e Pesaro, mentre il fratello Sergio, dopo la maturità classica e la laurea in ingegneria, prestava la sua consulenza, come tecnico responsabile. Accadde anche con l’hotel che Mario costruì con le sue mani.

Di carattere duro, ma di estrema generosità, Semprini portava spesso frutta e verdura alla Caritas, regalò anche una dozzina di televisori a Casa Serena, dove andava a trovare gli ammalati, e spesso faceva offerte alla sua parrocchia.

MARIO E LA SUA POLISPORTIVA SAN LORENZO
Lo ricorda con questo cuore generoso Fabrizio Vagnini, presidente della Polisportiva di San Lorenzo. Mario si rese subito disponibile assieme ai preti della stessa parrocchia e ad altre persone della zona, come Giuseppe Corazzi, Silvio Tosi e Luciano Cecchini (nella foto con una squa- dra di ragazzini nel 1982/83). “Era il tuttofare, nonché uno dei promotori del mitico Torneo “Campidelli” che si disputa tuttora -ricorda Vagnini-. Si prestava con tanta de- dizione a questa attività, tant’è che pagava lui la coppa destinata alla squadra vincitrice.

MARIO IL SUO CAMPO E I SUOI RAGAZZI
Teneva sempre in ordine il campo sportivo che si trovava dove ora c’è la piazza, accanto alla chiesa di San Lorenzo. Per appianare il terreno, usava un livellatore che attaccava alla sua vecchia Bianchina. Ma quello che resterà nel cuore dei giovani calciatori di allora erano anche altri gesti. Mario, che non si era mai sposato, dopo le partite portava i ragazzi al bar e di tasca sua offriva paste e gelati. Proprio per questo motivo, quando la squadra andava in trasferta, la sua auto era zeppa (s’infilavano anche nove-dieci ragazzini), mentre le altre macchine erano semivuote”. Altri tempi…

NiCo

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