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Angelo Totaro brinda dal Giappone alla sua Riccione

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Angelo Totaro brinda dal Giappone alla sua Riccione. Da 20 anni enologo: dalle cantine di San Patrignano alle vigne dell’isola di Hokkaido. La storia di un liceale riccionese.

Innanzitutto la prima domanda che si fa a Riccione. Di chi sei figlio? “Siamo stati adottati da Riccione nei primi anni ’80 dopo esserci trasferiti da Cattolica. La mia è una famiglia, diciamo ristretta, solo io e mia madre, Antonella Ranalli insegnante ma all’epoca si chiamava “maestra”, delle scuole elementari Fontanelle”.

 

Se pensi ai tuoi 15-20 anni a Riccione qual è la prima cosa che ti vie- ne in mente?“Il Liceo Alessandro Volta, la pizzeria Reddy, la sala giochi Happy Days, la paninoteca POP, il pub Savioli, il BOMBO. Sembra un’adolescenza incentrata sul cibo ma in realtà erano i nostri luoghi di incontro e aggregazione, era lì che passavamo le nostre giornate insieme agli amici, erano i nostri social network.

Da quanto tempo vivi lontano da Riccione? Dove vivi? Di che cosa ti occupi? “Con mia moglie ed i miei figli abbiamo una casa in campagna a Montefiore Conca ma mia madre e tanti miei ricordi sono ancorati alla Perla verde. Per lavoro ho girato e giro un po’ tutto il mondo. Sono enologo, faccio questo mestiere oramai da oltre 20 anni, negli ultimi 11
sono stato enologo nella cantina di San Patrignano. Oggi vivo in Giappone, ormai da un anno, precisamente sull’isola di Hokkaido. Seguo e curo una magnifica realtà, la Camel Farm Winery, nata solo tre anni fa, vocata alla produzione di vini alta qualità destinati, per ora, al mercato interno ed in futuro anche all’esportazione. Da 12 anni lavoro al fianco del grande enologo Riccardo Cotarella”.

Com’è nata la passione per il vino? “A Bologna durante gli anni dell’Università, studiavo filosofia ed ogni tanto frequentavo l’Antica Drogheria Calzolari, in via Petroni dove mi si è aperto un mondo fatto di colori, aromi e sapori. Nel 1997 ho aperto un’enoteca, la Belfiore enoteca a Montefiore Conca, poi mi sono iscritto all’università al corso di Enologia e Viticoltura per capire meglio, volevo saperne di più. Decisi di abbandonare l’enoteca e mettermi nuovamente in gioco per fare il winemaker ed oggi sono fiero della scelta fatta”.

Il vino e i giapponesi, un binomio insolito. “I giapponesi capiscono quanto grande sia il gap di tradizioni e cultura rispetto al vecchio continente e per questo hanno un approccio educato ed estremamente rispettoso, dimostrazione ne è, che per un progetto importante come quello di Camel Farm, abbiano cercato un enologo italiano. Sono amanti dei vini morbidi e tendenzialmente dolci, si sposano meglio con i piatti asiatici”.

UN RICCIONESE IN GIAPPONE

Com’è vivere in Giappone? E’ complicato per un riccionese? “Per alcuni versi è fantastico, i servizi sono ineccepibili. Ho aperto i contratti acqua, luce e gas, con tre differenti compagnie, in 15 minuti con addebito su carta di credito. Il servizio postale lavora 7 giorni su 7 e tramite App, puoi richiedere la consegna nel giorno e ora più comodi in base alle tue esigenze lavorative. Il servizio pubblico, Bus e treni, fanno parte della vita quotidiana del cittadino, se non è indispensabile, l’automobile non si tocca! I miei amici di Tokyo non usano o addirittura non hanno l’automobile, non serve. Le difficoltà nascono per il nostro modo di essere. Siamo aperti e disponibili verso gli altri, sempre pronti a far sentire a proprio agio chi è con noi, per me è fantastico ma a volte mette in imbarazzo le persone, qui soprattutto.

Dicembre 2020 Angelo in compagnia di un giornalista giapponese celebra il suo Pinot nero della Camel Farm Winery valutato tra i migliori nell’International Wine Challenge 2020.

E i giapponesi come sono? “Il giapponese è tendenzialmente timido ed introverso, non vi è contatto fisico, nessuna stretta di mano, solo inchini”.

La cosa piu’ importante che hai imparato lavorando all’estero? “Ho capito che siamo noi italiani ad essere i primi detrattori di noi stessi, nel mondo rappresentiamo la bellezza, la cultura, dall’arte in tavola e questo ci viene riconosciuto! Io ricevo complimenti continui sul nostro paese e sul nostro popolo ogni giorno”.

All’estero è complicato far capire da quale parte d’Italia vieni? Che strategia utilizzi? “Ti rispondo con Nigiyaka! Nigiyaka è un aggettivo con un’ accezione molto ampia e positiva, vuol dire affollato, prospero, vivace, allegro, ecco in alcuni libri di testo di lingua italiana per giapponesi, si utilizza la riviera romagnola, proprio Riccione e Rimini, per tradurre in modo figurato Nigiyaka. Qui in molti studiano l’italiano, l’inglese è parlato pochissimo. Per far capire dove vivo mi basta parlare della nostra cu- cina, della vicinanza con Bologna o con Venezia, Alberta Ferretti, Ducati, Ferrari, Lamborghini, Maserati”.

RICCIONE NEL CUORE

La prima cosa che fai quando torni a Riccione? “Salgo in macchina, metto la musica adatta e percorro la stesso tragitto che facevo da diciottenne, Viale Ceccarini monte e via de dei Mille sino a Spontricciolo, per poi tornare indietro sul lungomare sino a misano e tornare nuovamente attraverso Viale Gramsci”.

Quali sono i ricordi più belli che ti porti dentro legati alla tua città? “Ricordo con felicità l’epoca giovanile prima dell’Università, le giornate di “puffi a scuola”, quando compravamo le paste al bombo e trascorrevamo le mattine al parco a fantasticare sul nostro futuro. I concerti con la nostra band di quegli anni “i Strozzapreti” e quelli dei grandi “Blasfemi”. Le serate passate in spiaggia con le prime storie d’amore. Il profumo del pane appena sfornato la mattina presto, passando in motorino attraverso Riccione paese”.

Guardando Riccione da lontano, cosa ti piace e cosa no ti piace della Perla Verde?“Ho un figlio di 18 anni e uno di 14, che vivono e amano Riccione. Oggi si organizzano concerti e avvenimenti che una volta non c’erano e questo mi fa molto piacere, sapere i miei figli che si divertono a “chilometro zero”. Anche mia madre e tanti miei amici vivono esperienze splendide, poesie e musica all’alba in spiaggia per esempio. Dall’altra parte vedo un turista non solo maleducato ma ineducato al rispetto del luogo e delle persone che lo ospitano. Come tanti miei coetanei, durante le estati facevo la stagione, e lavoravo in un albergo, e quei turisti lì amavano riccione”.

 

Tolti i familiari, se avessi il credito sufficiente per chiamare solo tre persone a Riccione, chi chiameresti? “Chiamerei certamente Cinzia Garoia, in qualunque città del mondo potrebbe consigliarmi posto più giusto dove fare un aperitivo o i suggerimenti per una bella mostra da vedere. Caso, Riccardo Casilli, per sapere se è a casa. Tra Shangai, Tokyo e Riccione ci rincorriamo ma non riusciamo mai ad incontrarci. Chiamerei uno dei “miei” ragazzi di Sanpa, uno dei tanti che si è fermato a vivere a Riccione per lavorare e per ricostruirsi una vita. Perché la nostra città, cosa non scontata, è un posto giusto per chi vuole riconquistare la fiducia in se stesso, riprendere la propria vita in mano dimostrando quanto vale, lavorativamente e umanamente. Sono tanti gli imprenditori riccionesi che assumono i ragazzi che hanno terminato il percorso a San Patrignano, dando loro un importantissima opportunità”.

Francesco Cesarini

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