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giovedì, Gennaio 16, 2025

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Famija Arciunesa e Croce Rossa insieme con le “Castagne della Solidarietà”

Famija Arciunesa e Croce Rossa Comitato Riccione insieme con le “Castagne della Solidarietà” per acquistare una nova ambulanza.

Domenica 14 novembre in programma la prima uscita annuale delle “Castagne della solidarietà” di Famija Arciunesa e Croce Rossa Italiana Comitato di Riccione in piazzetta Parri (su Corso F.lli Cervi) all’interno della Festa di San Martino.

“Dopo il forzato stop dello scorso anno” commenta Francesco Cesarini Presidente di Famija Arciunesa, “torniamo con questa radicata tradizione e lo facciamo insieme agli amici della Croce Rossa in Paese, nel cuore di Riccione, per raccogliere i fondi che saranno utilizzati per l’acquisto di una nuova ambulanza per la Croce Rossa”. È la prima volta che le due realtà danno vita insieme all’iniziativa con protagoniste le caldarroste. “Raccogliamo i fondi per un nuovo mezzo, quanto mai necessario per la nostra attività quotidiana” ha puntualizzato Roberto Silvestri Presidente della CRI Comitato Riccioneiniziare a farlo all’interno della festa del patrono è un bel segnale per la nostra comunità”.

L’ iniziativa è in programma anche davanti a Piazzale Ceccarini nel week end del 27/28 novembre sempre per raccogliere fondi per la nuova ambulanza che andrà a servire il territorio riccionese.

3 mila euro per AISM Riccione, ci dai una mano? Il 3 dicembre 2021 cena di beneficenza

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Per il 3 dicembre 2021 presso il ristorante “Cavalluccio Marino” Famija Arciunesa organizza una cena di beneficenza per l’AISM di Riccione. Cena di pesce: adulto 40 euro, bambini 15 euro. Tutto l’incasso andrà in beneficenza.

Famija Arciunesa torna in campo con un altro progetto di solidarietà ed organiz-
za una raccolta fondi per l’AISM (Associane Italiana Sclerosi Multipla) sezione di Rimini sede di Riccione.

“E’ il nostro modo di stare dentro la città” – commenta Francesco Cesarini Presidente di Famija Arciunesa -“È da diversi anni che grazie al cuore dei riccionesi aiutiamo i nostri amici di AISM per sostenerli nelle loro importanti attività. L’intero incasso della cena andrà in beneficenza all’AISM e questo grazie alla grande famiglia del Cavalluccio Marino. Mi auguro che il 3 dicembre siano in tanti a tavola per sostenere AISM ed anche per ritrovarci e passare una serata in serenità, per chi non potrà esserci sarà possibile fare una donazione con un bonifico sul conto corrente di F.A. l’obiettivo è di arrivare a 3 mila euro“.

Sono 32 anni che la sezione di Riccione dell’AISM opera a Riccione e nonostante il Covid, seppur con grandi difficoltà, le attività principali sono state portate avanti anche in questi difficili mesi. “Non è stato per nulla semplice” commenta la Presidente Stefania Montanari “ma siamo riusciti a garantire il trasporto ed il supporto psicologico attraverso il personale specializzato. Purtroppo in piena pandemia, per rispettare i protocolli di sicurezza, abbiamo invece dovuto interrompere l’attività di benessere in sede. Con Famija Arciunesa condividiamo l’obiettivo di raccogliere almeno 3 mila euro per dare così continuità a tutte le nostre attività rivolte ad un centinaio di pazienti affetti da sclerosi multipla che gravitano sulla nostra sezione”.

Prenotazioni cena beneficenza 3 dicembre 2021 per AISM sede di Riccione
0541693128 Stefano Cavalluccio Marino
3497773390 Francesco Famija Arciunesa
3384304667 Giuseppe Famija Arciunesa

Donazioni da indirizzare al progetto “3 mila euro per AISM sede di Riccione”
Famija Arciunesa – Bonifico bancario:
IT47L 05387 24100 0000 0075 6192

E nòst dialèt: e sciòp, e sc-ciuplèt…

FUCILE – S-ciòp

Fucile a bacchetta (ad avancarica) = “S-ciòp a batèca”.
Se non fa il “S-ciuptèr” fa la rivoltella = “S’un fa e S-ciòp e fa la rivultèla”.
In un modo o nell’altro.
il F. scarico fa paura a due = “E S-ciòp schèrgh e fa pavura ma dò”.
Chi lo impugna perchè lo sa inefficace e chi se lo vede puntato (e non sa che è scarico). Veloce come una pallottola del Fucile = “Via come una pala da S-ciòp” – Irraggiungibile. un tiro di Fucile = “Un tir ad S-ciòp” – Unità di misura di lunghezza.
La doppietta = “La S-ciòpa” – L’arma a due canne del cacciatore.
La doppietta e la moglie non s’imprestano mai = “La s-ciòpa e la mèj l’in s’impresta mai”. A volte però, lei, non chiede il permesso.
Fucilata, Schioppettata = “S-ciuptèda”.
Armaiolo = “S-ciuptèr” – Chi vende fucili.
Schioppettiere = “S-ciuptèr” – Chi fabbrica fucili.
Gli schioppetti = “I S-ciuplèt” – Varicella
Schioppetto = “S-ciuplèt”.
Nome onomatopeico di un gioco dei ragazzini di un po’ di tempo fa.

LA CERBOTTANA = “E S-CiuPLèT”

Serviva un pezzo di tubo di plastica; in tempi non tanto lontani si ado- perava un ramo di sambuco a cui si asportava il midollo centrale. Si preparavano poi dei lunghi e stretti coni di carta, col diametro della base di giustezza con quello del tubo che inseriti fungevano da proiettili. Quindi servivano buoni polmoni per indirizzarli sul bersaglio prescelto.

FUCiLE CON L’ELASTiCO = “E S-CiòP SL’ELASTiCH”

Da un pezzo di legno, che poteva essere anche una vecchia assicella, si ricavava la sagoma del fucile con gran lavoro di raspa. Naturalmente era dimensionata alle nostre misure di ragazzini. Poi chiodino in punta, molletta da bucato fissata a fine canna dove c’era il foro che imitava il grilletto.

Un buon elastico con funzione da proiettile veniva agganciato al chiodino e fermato nella molletta… almeno sino a quando non appariva il bersaglio.

Giuseppe Lo Magro

Francesca Airaudo “Il teatro è terapeutico, il palco è liberatorio”

Francesca Airaudo si racconta: gli inizi, la passione per i viaggi, il teatro nella sua Riccione che si avvicina al centenario, l’occasione per raccontare sul palco una Riccione poco conosciuta: quella degli inizi dell’ospitalità e dei primi hotel.

Francesca Airaudo in scena.

Francesca Airaudo, nasce a Riccione ma il cognome tradisce le origini piemontesi da rintracciare nel nonno. Bellissima figura femminile dai tanti ricci ma senza capricci, in qualche modo tratto della sua marcata personalità: forte, amante del suo lavoro, della sua casa, dei suoi amici, della grande famiglia in cui regna la creatività e tanta musica classica e jazz. Donna a tutto tondo, non ama la cucina ma fortunata avendo oggi un compagno oste ed un ex marito cuoco.

Attrice, rivelatasi in quinta elementare, ha iniziato sempre sostenuta dalla sua famiglia pro- prio nella sua Riccione. Eppure sognava di fare l’archeologa o la giornalista per viaggiare, sua grande passione. Espressione di una parte del genius loci riccionese gestisce oggi quello che lei definisce un piccolo ma molto attivo “Teatro di campagna”, il Giustiniano Villa di Sant’Andrea in Casale, dove la gente resta seduta nonostante lo spettacolo sia finito e dove alberga, ancora, il contatto umano.

Francesca ama il dialetto che ha più volte portato in scena dividendosi anche con altri ruoli e lavori che ha portato e porta in giro per l’Italia. Sul dialetto preziose le collaborazioni con Gabellini e Pioggia. Della “romagnolità” apprezza pregi e difetti, menzionando la cevoliana “ignorantezza” ed anche per certi versi il “prima faccio poi penso” che in fondo ha caratterizzato, non sempre nel bene, la laboriosità del nostro territorio.

Come quella volta che venne demolito il Teatro Dante? “Era un edificio privato abbattuto per dar luogo ad un condominio in cui io stessa ci ho vissuto per dieci anni. Del resto, contestualizzando il fat- to nel dopo guerra, quando c’era la necessità di costruire la Riccione che vediamo oggi, la ripresa economica era determinante: il mattone era ciò che più contava. Per contro nel 1947 nasceva nella Perla verde il Premio Riccione per il Teatro. Oggi abbiamo lo Spazio Tondelli che basta ed avanza”. 

Cos’è il teatro per te? “È un luogo dove nessuno sbaglia, ci si sente liberi ed al tempo stesso inadeguati sino a che non si sperimenta se stessi rispetto al gruppo di cui è bello vedere la sua evoluzione su un palco dove tutto può accadere perché è “pericolosamente” liberatorio in quanto ci si sente nudi, non ci si può nascondere e ti misuri. Il teatro è terapeutico, oggi, a differenza del passato, lo affermo anch’io”.

Tu ami molto il contatto diretto con la gente, hai portato spesso il teatro in luoghi insoliti… “Con la mia vecchia “Compagnia del Serraglio” abbiamo fatto spettacoli ovunque, a Riccione, persino sui pali della luce. Scherzo, ma neanche tanto! Comunque fino al 2015, poi il buio. Abbiamo recitato anche sulle barche, al porto, che per me resta uno dei pochi luoghi identitari della città e che non vorrei venisse alterato.”

Eppure è un mestiere duro, non trovi? “Soprattutto in questo momento ma di arte si può vivere. È un mestiere strano, con tempi suoi, instabile ma forse è anche il suo bello perché ti costringe ad adattarti. Chi sceglie di far dell’ar- te il suo lavoro, è un coraggioso!” L’anno prossimo ricorre il centenario della tua città. Un’idea per la tua città? “Penso che ancora vada ricordato cosa fosse Riccione prima del dopoguerra. Sarebbe bello allestire un progetto teatrale raccontando l’hotellerie dell’epoca. Patrimonio enorme di un vissuto che tende ad essere dimenticato.”

Roberta Pontrandolfo

 

Viale Ceccarini, il Consorzio d’area si mobilita per la rinascita

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Consorzio d’area Viale Ceccarini ecco le tre “r” annunciate dal Presidente Maurizio Metto: Riccione City Concept, rilancio della comunicazione e riqualificazione urbana.

Mettere in pratica il progetto Riccione City Concept, ossia tre anni di eventi di varia
natura, legati da un unico tema, capace di calamitare ospiti da tutta Italia, avviare una
consistente comunicazione sui social tramite media manager e continuare a far leva sulla
riqualificazione urbanistica del centro. Sono tre punti chiave del più ampio impegno di lavoro assunto dal nuovo direttivo del Consorzio d’area di viale Ceccarini che di recente, con la partecipazione di numerosi operatori, ha messo in atto in pacifico sit-in con infiorata davanti al municipio di Riccione. Questo con l’obiettivo di porre l’accento sulle condizioni del “salotto” che, come rimarcato da molti nell’assemblea pubblica tenutasi a Villa Mussolini “versa in una situazione degradata, oltre il livello di accettabilità”. In attesa del master plan dell’architetto Stefano Boeri si chiedono interventi di manutenzione.

Si riparte con nuova linfa? “Dopo i duri mesi di restrizioni per via del Covid, ripartiamo con una bella squadra, formata da persone estrema- mente dinamiche, attive ed entusiaste, anche perché al consorzio stanno aderendo nuove attività, compreso diversi albergatori. Si aggiungono a quelle che ci hanno chiesto di rientrare, per cui presto dovremmo arrivare a un centinaio di adesioni. Diversi consorziati si sono offerti intanto a darci una mano, anche se non fanno parte del direttivo. C’è una voglia di fare e di agire in modo collettivo mai vista!”. Il cda spalanca le porte anche ad altri comitati e ai non associati? “Abbiamo cominciato a farlo con la partecipatissima assemblea, tenutasi a Villa Mussolini. Ne seguiranno altre. Serve a confrontarsi e a far conoscere cose che facciamo e che non sempre arrivano a tutti”. Novità anche sul fronte della comunicazione? “Abbiamo ingaggiato un social media manager. Si tratta di Elisa Parma che spingerà le nostre attività sui vari social. Il nostro obiettivo è duplice: da una parte mira ad affrontare problemi, curare il decoro, l’arredo e tenere rapporti con i vari enti pubblici, anche di servizio, dall’altra lanciare idee e iniziative per attirare la gente e occuparsi del benessere degli operatori, degli ospiti e della città. Regola base che ci fa resistere da 31 anni è rimanere fuori dalla politica partitica”.

C’è un’intesa anche con il comitato di viale Dante? “Ci coordiniamo da tempo, anche per gli eventi, ora abbiamo intenzione di lavorare per fare una cosa unica, servirà tempo, anche per i passaggi istituzionali, però si va in questa direzione”. Avanza l’’ipotesi del Riccione City Concept, di che si tratta? “E’ un grande progetto sul quale, già un anno fa, avevamo mobilitato tutti gli altri consorzi dell’area mare, dal Tasso all’Abissinia. Lo rispolveriamo per il prossimo anno. E’ un format che include manifestazioni ed eventi, alcuni già esistenti, altri nati da noi, ma coordinati dall’amministrazione. Questo contenitore avrà un tema specifico da sviluppare in due/tre anni. Servirà a dare un input anche per la miriade di iniziative che vengono organizzate pure dai singoli locali, albergatori, ristoratori… Se proposte tutte all’insegna di un unico concetto, vengono convogliate in un’unica comunicazione e assumono una maggiore forza”.

Tema forte è il master plan del Ceccarini e dell’intero quadrilatero, un’urgenza? “Da anni diciamo che l’arredo è obsoleto. L’architetto Boeri che ha avuto l’incarico di progettarlo mi piace tantissimo, proporrà certo qualcosa di bello, che noi contribuiremo a limare e migliorare per quanto ci sarà possibile. Ogni progetto va infatti calato e discusso con la città. Sarà un lavoro in divenire, speriamo solo che questa sia la volta buona e che dal progetto si passi all’opera, altrimenti ci ritroveremo con un centro non più all’avanguardia. La stessa cosa vale per il porto. Occorre riqualificare, in passato il rifacimento del lungomare ha fatto l’immagine della città. Siamo una lobby economica, nel post Covid dobbiamo competere col mondo intero”. Altro nodo è il regolamento sulle attività per evitare il proliferare dei bazar. A che punto siamo? “Su questo l’assessore alla Polizia locale, Onorevole Elena Raffaelli, mi ha detto che stanno lavorando, ho comunque fatto un sollecito, affinché si proceda alla svelta. Se viale Ceccarini fosse un luogo meraviglioso, bellissimo, non ci sarebbe bisogno di chiedere ai proprietari di calare gli affitti, né di chiedere un regolamento per evitare bazar, ma il centro sappiamo bene com’è messo, corriamo dei rischi com’è successo a marina centro di Rimini”.

Nives Concolino

Giugno 1967, quando Pelè venne a giocare a Riccione

Giugno 1967 Riccione ospita nel suo stadio Pelè. Ecco come visse la città la vigilia di quell’evento sportivo storico nelle parole del giornalista Marzio Cesarini.

Giugno 1967, Riccione si prepara al grande evento: allo stadio comunale arriva Pelè! L’amichevole Santos-Venezia, un appuntamento con la storia lanciato per l’occasione anche da un giornalino (foto a lato) distribuito nella città e allo stadio. Per ricordare quel magico momento abbiamo recuperato il pezzo di presentazione dell’arrivo nella Perla verde della “Perla Nera” scritto dall’allora giovanissimo giornalista Marzio Cesarini per quella che poi sarà una serata caldissima, afosa e straordinaria.

 

 

 

Pelè a Riccione di Marzio Cesarini giugno 1967

«Quando si avvicina al pallone ha le movenze di un’ape che va incontro al fiore», ha scritto di Pelé un fantasioso cronista brasiliano, nel resoconto della prima partita importante della «Perla nera», l’uomo che ripete in tutto il mondo, ed in special modo a Santos, le leggendarie esplosioni di Manolete a Madrid.

Il Santos in campo a Riccione: Gilmar, Carlos Alberto, Camargo Abel, Lima, Orlando, Edu, Pelè, Pepe, Rildo, Guerriero (Archivio Foto Riccione – Pico)

Pelé: Edson Arantes do Nascimento, nome da luogotenente del generale Cortez, da conquistatore spagnolo. Due gambe grosse che stupiscono nella figura abbastanza esile, il sorriso a labbra tese, una faccia da pudding al cioccolato, mobile nelle espressioni come sul campo, lo sguardo vigile. 170 goals, una carriera rapida e luminosa iniziata a soli 12 anni, esplosa a 16 nei campionati mondiali del ’58 vinti dal Brasile. Uomo arrivato e ricco; possiede una decina di aziende, cinque palazzi, sette negozi, percepisce una ragguardevole cifra facendo pubblicità al caffè.

Pelè con un giovanissimo Roberto Tomasi oggi cantante e finalista del programma televisivo di RAI 2 “The Voice Senior”

Se nelle tourné c’è lui, il Santos è sui 25 milioni a partita; lui assente, i milioni diventano la metà. A suo modo è un piccolo sovrano, con luogo-tenenti in calzoncini corti, e per sudditi tutti gli abitanti del Brasile. Si capisce perchè ad ogni goal che segna insegue il pallone e lo bacia! E’ come un sovrano, ha una biografia (350 mila copie) che ne esalta le gesta, e si insinua nelle scuole elementari e nelle “fa- velas”, dove giorno dopo giorno la miseria si mischia al calcio e un pò si attenua. Il volume s’intitola: «Eu sou Pelé». Inutilmente vi si cerca l’origine di questo nomignolo che sta fra l’esercizio di linguaggio e lo schiocco di frusta. Si dice che quando è assente dalla squadra del Santos, compaiano sui muri della città manifesti a lutto con scritta: «Oggi Pelé non gioca». Questo è «la perla nera», O rey do football, il calcia- tore più famoso di tutti i cinque continenti. Martedì 20 giugno 1967, Pelé ed il Santos sono a Riccione. Riccione merita questo regalo.

Marzio Cesarini

Le stampe romagnole di Walter Ciabochi

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Arte, cultura e territorio a scuola: una tradizione che si reinventa e non smette mai di stupire. Walter Ciabochi racconta l’arte delle stampe romagnole.

Romagna terra contadina e marinara, terreno di incontro e condivisione di tradizioni e valori. In questa terra festaiola e laboriosa, intorno alla metà del settecento, vigeva l’usanza di vestire a festa i buoi, che nelle parate contadine in occasione di celebrazioni religiose e liturgiche, venivano coperti di teli di cotone grezzo “fustagno” su cui comparivano grazie ad un interessante e rudimentale procedimento chimico, immagini di galletti, grappoli d’uva, spighe e boccali rustici.

La stampa romagnola è una tradizione preziosa che si pensa abbia avuto origine in Oriente in tempi lontani e che come la nostra amata piadina, pane tipico della nostra città, nasca dall’incontro e dall’osmosi di costumi e tradizioni alquanto differenti. Questo tipo di artigianato è sempre più raro, ma ancora c’è chi si dedica a realizzare tovaglie, tovaglioli, strofinacci, tende e quant’altro per la casa, utilizzando una tecnica antica ed originale particolarmente indicata per arredare casali e cascine.

L’artigiano Walter Ciabochi
Ne parliamo con un esperto, un artista di quest’arte: Walter Ciabocchi. Cosa rende la realizzazione di queste stampe così speciale? “Sicuramente la stravaganza degli “ingredienti” con cui si realizza il colore: aceto, ferro e ruggine ed inoltre gli stampi, che in alcuni casi sono vere e proprie opere d’arte; quest’ultimi vengono realizzati utilizzando legno di pero o noce, particolarmente adatti a questo scopo per durezza e resistenza nel tempo”.

Ed i disegni? “Elementi tipici della cultura agreste della Romagna, ma anche pesci, stelle marine, conchiglie che appartengono all’ambiente marinaresco e che pro- babilmente sono nati in un secondo tempo. Si procede poi con l’intaglio a mano. Pronti gli stampi vengono bagnati nelle tinte solitamente rossiccia, verde o blu, posizionati sul tessuto e percossi con un mazzuolo”. interessante la realizzazione del colore. “Ferro ed aceto per il tipico ruggine per l’esattezza, ma c’è anche un aspetto quasi magico, alchemico di quest’arte, che la lega alla luna ed ai suoi cicli; alcune colorazioni devono assolutamente tenere conto, per raggiungere le intensità richieste, di certe caratteristiche planetarie e lunari. Il risultato finale è una stampa che compare su ambo i lati del tessuto e che viene fissata con un procedimento antico chiamato “Ranno” a base di acqua bollente e cenere che la rende resistente a tutti i tipi di lavaggio.

Arte e tradizione a scuola
Gli studenti della classe 4F del liceo artistico Federico Fellini, sono impegnati nella frequenza di un ciclo di incontri con esperti di quest’arte e procederanno con la realizzazione dei disegni per l’incisione su matrici di legno dedicate al decoro di tovaglie ed articoli da arredo. La scuola guarda avanti e costruisce il futuro sulle solide basi del passato. “Abbiamo accolto con entusiasmo la proposta dei nostri professori Caldari, Maggini, Seraghiti, raccontano gli studenti della classe “noi non conoscevamo questa realtà. E’ sicuramente una forma di arte, che affonda le sue radice nel tempo ed esprime pienamente la natura della realtà locale. Merita riconoscimento e protezione.”

Alessandra Prioli

Il partigiano riccionese Luigi Vannucci: facciamo chiarezza

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Il partigiano riccionese Luigi Vannucci sulla lapide dei Caduti della Libertà di Rimini è dato per disperso ma la verità è un’altra.

Il riccionese Vannucci e la lapide di Piazza Tre Martiri 
Forse pochi ricordano Vannucci Luigi (Aldo), ma è l’unico abitante, classe 1920, della Perla Verde che è iscritto nella lapide dei Caduti della Libertà di Piazza Tre Martiri ai Rimini. Entrò in questa lista, nella terza versione che ne è stata redatta tra il 1949 e il 1950, i documen- ti d’archivio non sono chiari e non vi sono fotografie che testimoniano quest’evoluzione. Fu inserito quando furono inclusi i partigiani che morirono dopo la guerra, ma soprattutto quando quel monumento divenne la lapide rappresentativa dei caduti dell’allora circonda- rio di Rimini. Sulla lapide appare erroneamente come “disperso”, ma di lui sappiamo cosa gli accadde.

Il fatto che su quella lapide siano incise tante inesattezze, è probabilmente dovuto al fatto che fu elaborata in vari momenti, l’ultimo dei quali 20 anni dopo la fine della guerra, quando la Memoria non era più così precisa. Nel giugno del 1940, quando aveva vent’anni, con lo scoppio della guerra Luigi Vannucci fu chiamato alle armi, ma a causa di una malattia fu a lungo ricoverato in un ospedale di Ravenna. Durante gli anni della vita militare maturò ideali socialisti che, all’indomani dell’8 settembre, lo motivarono a entrare nelle Resistenza, infatti dopo l’armistizio riuscì a non farsi catturare dai Tedeschi e a ritornare a casa a Ric- cione entrando subito tra le file dei partigiani.

Vannucci partigiano a Riccione
Egli entrò nella resistenza come Sappista, ovvero come appartenente alle Squadre d’Azione Patriotica, che svolsero importanti funzioni di assistenza ai gruppi armati come le Gap, i Gruppi d’Azione Patriotica – in zona operò la 29 Bgt. Gastone Sozzi dove militarono i Tre Martiri- e i più noti partigiani di montagna che costituirono qui in Romagna l’8a brigata Garibaldi. Il suo ciclo operativo da partigiano iniziò il 15 settembre 1943 e ebbe termine il 22 settembre 1944, il giorno dopo la Liberazione di Rimini. Dai suoi documenti da partigiano emerge che lui fu una staffetta di collegamento tra i resistenti di Riccione e quelli di Rimini.

L’assalto dell’aeroporto di Miramare
Vannucci partecipò all’assalto all’aeroporto di Miramare, dove vennero prelevate delle armi poi inviate in montagna, alla consegna di trasporto di ordini da un comando all’altro, si dedicò anche allo spargimento dei temuti chiodi a tre punte lungo le direttrici principali e alla distribuzione di manifesti di propaganda. Come tanti comuni cittadini, alla fine dell’agosto del ‘44, con l’arrivo del fronte e l’inizio della famosa battaglia per Rimini tra Tedeschi e Alleati, fu a sfollare nella Repubblica di San Marino.

Finita la guerra…
Dopo la guerra, come spesso accadeva al tempo, per i suoi trascorsi di partigiano, fu assunto come vigile urbano militare del Comune di Riccione. La guerra finita però non fu la fine delle sue sofferenze si sposò nel giugno del 1945 con la signora Angelina Bruna, ma nello stesso mese si ammalò di tubercolosi che lo costrinse a ricoverarsi nel nosocomio di Vecchiazzano a Forlì; dalla malattia non si riprese mai più, morì qualche mese dopo il 21 ottobre 1945, lasciando una giovane vedova e i genitori, Carlo e Pasquina.

Mettere in atto forme di resistenza a Riccione non fu facile: la sovrapresenza tedesca, un territorio pianeggiate poco adatto alla vita in clandestinità, oltre che una popolazione già frustrata dai tanti bombardamenti e quindi impossibilitata al sostegno della resistenza, resero più difficile il compito dei resistenti. Ma i partigiani locali non si tirarono indietro, sostenendo i gruppi armati di montagna, compiendo azioni si sabotaggio e disturbando il lavoro della Tods per la costruzione delle fortificazioni della Linea Gotica; non ultimo guidarono e anticiparono le avanguardie degli Alleati nella liberazione di Riccione.

Daniele Susini

Quando il Primo Maggio si andava all’Ingar a far festa!

“Abissinia” il libro di Luca Villa in pubblicazione. Un’iniziativa di Famija Arciunesa per valorizzare la nostra storia e le nostre radici.

Famija Arciunesa ha messo in cantiere la pubblicazione dei racconti di Luca Villa nel libro “Abissinia”. una scatola di cioccolatini da scartare uno alla volta, un flusso di ricordi, emozioni e storie capaci di andare oltre i confini di un quartiere per diventare l’affresco di un periodo, di una Riccione del passato ma anche di un momento storico del nostro Paese. Sono gli anni ’70: quelli dello sviluppo economico, delle tensioni sociali ma anche quelli dei primi ’80, quelli della leggerezza, delle amicizie nei luoghi di villeggiatura.

Luca Villa con i suoi brevi racconti ci prende per mano in un percorso piacevole fatto di ironia e profondità, un viaggio che Famija Arciunesa ha deciso di condividere con i suoi lettori con questa anticipazione dedicata all’ingar (oggi i campi dell’Asar, dove una volta correvano anche i cavalli e giocavano già a calcio) e alle feste del Primo Maggio di quel periodo. in Autunno l’uscita del libro e la presentazione con l’autore, da anni per lavoro ad ibiza ma con il cuore sempre nella sua Riccione.

Primo Maggio all’Ingar di Luca Villa

La folla di riccionesi che accorrevano il 1 Maggio all’Ingar (oggi i campi dell’Asar). (Archivio Foto Riccione – Pico)

Il primo maggio si andava all’Ingar a far festa. Io ci andavo con mio nonno Tiglio (che in verità si chiamasse Attilio l’ho saputo quando è morto e ho visto i manifesti: “Guarda mamma, c’è uno che si chiama come il nonno ma con il nome diverso…”) così mi vestivo bene e passavo a casa sua abbastanza presto, ben sapendo di trovarlo già sulla porta, con il vestito della festa, la camicia bianca e il fazzoletto rosso al collo, che pestava i piedi come un bam- bino a Natale e sbuffava con mia nonna: “Sò Gina, smitì da pulì la chesa e andàm clè terd”. (Sù Gina, smettete di pulire la casa e andiamo che è tardi). I miei nonni si davano del voi fra di loro, passavano al tu solo quando c’era da discutere, ma le poche discussioni finivano sempre con la vittoria di mia nonna e con mio nonno che se ne andava a testa bassa borbottando qualche “camigàna” (imprecazione dialettale) a bassa voce.

Finalmente si riusciva a partire, e quando si arrivava alla festa era tutto un tripudio di bandiere rosse, di profumi di cibo buono e di tavolate di gente allegra. E poi gli altoparlanti che mandavano a tutto volume canzoni che non conoscevo, con mio nonno che appena partiva “Bandiera Rossa” faceva la lacrima. Andava a comprare uno scartoccio di fava, un po’ di lumachini e garagoli, pane e vino e ci sedevamo a una delle tavolate di legno vicino alle altre persone che già stavano mangiando, e si andava avanti così per tutto il giorno, a mangiare e bere e cantare, e salutando amici che andavano e venivano con grandi sorrisi e pacche sulle spalle, finchè il sole non cominciava ad abbassarsi, e allora si tornava a casa, stanchi ma felici di avere passato una giornata meravigliosa.

Mio nonno mi teneva per mano fino a casa, e ricordo che una volta gli chiesi: “Nonno, perché hai il fazzoletto rosso al collo?”. “Perché a sò un comunèsta.” (Perché sono un comunista) “E cosa sono i comunisti?” “Quei c’là salvè l’Italia.” (Quelli che hanno salvato l’Italia) “Salvata da cosa?” “Da i tedèsch e da i prìt.” (Dai tedeschi e dai preti). A questo punto immancabilmente interveniva mia nonna che con un perentorio “Lassandè Tiglio, sta zèt cl’è un burdèl” (Lascia stare Attilio, stai zitto che è un bambino) metteva fine al nascente comizio anticlericale di mio nonno, che mi guardava sospirando e borbottando la solita sequenza di camigàna riprendeva la strada verso casa.

Mio nonno non c’è più da molti anni. Nemmeno i comunisti ci sono più da molti anni. Invece i tedeschi e i preti ci sono ancora. Chi la salverà l’Italia stavolta?

Luca Villa

Com’era la vita tra i banchi della scuola di Via Catullo

La maestra Cecchini tratteggia la storia della scuola appena demolita ed in ricostruzione.

Quella che ora è una ex scuola è stata la prima scuola a tempo pieno del Comune di Riccione, istituita dall’allora direttore Fabbri nell’anno scolastico 1981–82 e di quella scuola ne andava fiero.

Demolita quest’anno, ricordo che sono entrata come insegnante nell’anno scolastico 1982–83 e ho avuto in assegnazione la classe seconda assieme alla collega Vilma Arrigoni; ho vissuto dunque la progressiva trasformazione della scuola di “Marina Centro” da scuola tradizionale con un’unica insegnante a scuola a tempo pieno, avendo scelto il direttore di compiere una trasformazione graduale introducendo una nuova classe a tempo pieno all’anno.

Gli insegnamenti erano divisi in due aree: Area linguistica e Area logico matematica. Una classe era dedicata alla scuola speciale con la presenza di alunni che presentavano handicap gravi e ricordo quei ragazzi che, nei limiti delle possibilità, venivano integrati nelle attività laboratoriali. La scuola era dotata di spazi che permettevano l’attivazione di laboratori a classi aperte che garantivano agli alunni la possibilità di socializzare con gli altri scolari del plesso.

Il direttore ogni sabato, quando l’attività del tempo pieno era sospesa, incontrava le insegnanti per fare il punto sulle attività didattiche e sulle problematiche del tempo pieno. Essendo la scuola dotata di cucina e di un salone al piano terra attrezzato per la mensa, il servizio di mensa era garantito con personale comunale di cucina e la qualità del servizio era apprezzata dai bambini e dai genitori.

Inoltre la scuola aveva un ampio spazio esterno che permetteva ai bambini di muoversi liberamente e di giocare in tutta sicurezza quando il tempo lo permetteva. La scuola a regime aveva solo cinque classi in cui erano presenti alunni provenienti da diversi quartieri di Riccione ma anche da altri comuni, dando risposte positive alle esigenze dei genitori impegnati nel lavoro.

La scuola ha sempre avuto un ambiente gestionale di tipo familiare dove insegnanti, genitori e alunni sì conoscevano e si rapportavano tra di loro, superando le divisioni per singola classe. Il rapporto tra le insegnanti era collaborativo. La scuola è rimasta nel tempo fedele alle sue caratteristiche di plesso di piccole dimensioni consona in ciò alle esigenze educative dei bambini.

I laboratori hanno avuto una progressiva evoluzione specialistica con particolare riferimento al laboratorio di creta che favoriva la manipolazione; c’era poi i laboratori di “fumetto”, “disegno creativo” e “origami”. La scuola ha rappresentato nel tempo un punto di riferimento per tutta la zona a mare di Riccione che nel periodo invernale assume il carattere di una zona non troppo ricca di stimoli aggregativi, specie per l’infanzia, data la doppia vita tra l’estate e l’inverno.

In quella scuola ci sono rimasta per 34 anni fino al 2016, ininterrottamente e mi sono sempre trovata bene perché l’ambiente era congeniale alla mia indole. Gli alunni di un tempo ancora mi riconoscono quando li incontro; si tratta di professionisti, di operatori turistici, di imprenditori, ma anche di tanti riccionesi che operano in diversi ambiti lavorativi; la demolizioni della scuola di “Marina Centro” che era diventata ormai fatiscente, è comunque un pezzo di storia che se ne va, fatta di relazioni, di amicizie e di memorie che restano nel cuore di tanta gente di Riccione. La consolazione è che la vecchia scuola non è stata demolita per fare posto ad altro ma ad una nuova struttura scolastica e la speranza e che il nuovo edificio scolastico possa rappresentare pur in un contesto cittadino che si è modificato nel tempo una nuova occasione di incontro, di educazione dei ragazzi e di integrazione sociale e culturale, nel rispetto della sua tradizione di “luogo familiare”.

Silvia Cecchini