7.9 C
Comune di Riccione
giovedì, Gennaio 16, 2025

Slide Slide Paolucci Web Agency Riccione Slide Slide Slide Slide Slide
Home Blog Pagina 15

“Nasin” Aldo Bagli, un “fioch ad bumbèsa”

0

Aldo Bagli “Nasin” persona dallo spirito libero, partigiano, calciatore nella “Biagio Nazzaro”, cantante, Vigile urbano, cacciatore… un uomo dai mille volti ed interessi.

Aldo Bagli era figlio di Domenico “Mangoun” Bagli, originario di Scacciano, che emigrò in Brasile per lavorare in una piantagione di caffè. Mangoun quando raccimolò quattro soldi se ne tornò in Italia (erano i primi anni del 1900) e comperò un pezzo di terra vicino al mare all’Abissinia, per costruirci una casetta e ricavare un piccolo orto, strappandolo alle dune asciutte e agli arbusti spinosi.

In quella landa selvaggia nacque Aldo (1923), in barba ad ogni logica, da una madre 42enne e dopo solo 5 mesi di gravidanza. Un “fioch ad bumbèsa” che crebbe fortificato da quell’ambiente, all’apparenza ostile, ma ricco di opportunità straordinarie per un bambino curioso.

I suoi compagni di gioco furono gli uccelli che lì nidificavano e si nutrivano. Imparò a conoscerli in ogni loro mossa, verso, comportamento. E ne imitò alla perfezione il fischio, arrivando così ad attirarli e prenderli di mira con i proiettili della fionda da lui costruita. Dopo la scuola elementare frequentò la scuola media, ma venne espulso perchè non sopportava i confini dell’aula e i richiami degli insegnanti cadevano nel vuoto. Il suo sguardo era perennemente puntato sugli spazi aperti.

Ebbe migliori risultati alla scuola di Arti e Mestieri in quel di Rimini; lì apprendeva nozioni pratiche, a lui molto congeniali. Carattere aperto e gioviale, intelligenza vivace, comprese subito la durezza della vita e si diede “da fare”. In estate prese a vendere le cartoline illustrate al mare, con la sua capiente cassettina a tracolla, e un sorriso carico di simpatia. In inverno si mise a fare l’imbianchino, imparando il mestiere da Giovanni Pecci “Munfarèl”. Quando scoprì di avere una voce intonata non si fece pregare a cantare in bar e ristoranti di Riccione. L’importante era ragranellare qualcosa per contribuire a migliorare il bilancio familiare.

ALDO E IL CALCIO
L’amore per il calcio lo “sfogò” giocando come mezzala nella “Biagio Nazzaro”. E intanto studiava per corrispondenza per diventare perito tecnico.

I “sorci verdi” della Biagio Nazzaro 1938 – Da sinistra Enzo Tontini, Gürel, Bruno Santini, Antonio Pin, Adelio Rusticali, Franco Corazza, Andrea Carlo Corazza, Aldo Piccioni, Amedeo Angelini, Vittorio Capelli, Elde Barilari, Aldo Bagli, Navario Saponi, Antonio Rastelli, Marino Bernardi, Amerigo Fabbri, Aldo Amati, Ghino Matteoni.

ALDO PARTIGIANO
Chiamato alle armi nel Genio ferrovieri ricevette l’ordine di presentarsi alle truppe fasciste. Scelse la sponda opposta e divenne partigiano nell’ VIIIa Armata Garibaldi. Operò dapprima in montagna e poi nel piano come staffetta per stampa clandestina e trasporto di armi. Nel 1944 tornò a Riccione lavorando presso il Comando Alleato dislocato al Domus Mea. Al termine del conflitto fu impiegato al Mercato del pesce, poi Vigile urbano e infine per 20 anni fu impiegato all Ufficio Acquedotto e Gas.

Tanti i suoi passatempi: scrittore e narratore dialettale, pittore “naif”, cartellonista pubblicitario, illustratore di vele per “batlèine e cutter”, oltre alla caccia, che fu l’amore più grande. Ricoprì l’incarico di segretario della Federcaccia per 10 anni. Fu cacciatore ma non sparatore. Era del pensiero che la caccia doveva essere abilità e non…strage fine a se stessa. E lui, abilissimo lo era davvero; imitava le quaglie così bene che le portava a posarsi ai suoi piedi… per poi lasciarle libere di tornare a volare.

GLM

“Marco il filosofo” Giovanni Marcaccini

Giovanni Marcaccini, detto “Marco il filosofo”, è stato un vero e proprio personaggio. Mitica la storia delle canocchie e quel modo tutto suo di prendere la vita.

Lo chiamavano “Marco il filosofo” ma il suo vero nome era Giovanni Marcaccini e ha vissuto una vita da osserva- tore e commentatore caustico e faceto. Partito come fale- gname aveva passato gli ultimi anni a vendere bomboloni sulla spiaggia (in estate) e davanti alle scuole (in inverno), sempre assieme all’inseparabile moglie Maria. Non era un grande lavoratore, oggi si direbbe “un razionale”.

Passava molto del suo tempo in meditazione sulle cose giuste o ingiuste della vita. Quando appena alle dieci del mattino era gia nell’osteria o dal barbiere a leggere il giornale, diceva che aveva interrotto il lavoro in falegnameria perché aveva già rifinito due gambe di tavolo e quindi guadagnato quanto occorreva per comprare tre bistecche, una per la Maria, una per il figlio Luigino e una per lui.

MARCO IL FILOSOFO A CACCIA
“Ne mangiassimo sei -diceva- ne avrei fatte quattro di gambe ma più di tanto non ci occorre e quindi per stamattina sono a posto cosi”. Andava a caccia con il cane seduto nel cestello anteriore del motorino, ma non spa- rava mai. Un giorno, nella Piana di Baldin, chiese ad uno appostato in attesa delle allodole: “...Bè cum agl’iè og?” e l’altro: “Oscia agl’iè cative!” e lui: “T’sarè bon te che ti tir”.

Sosteneva che l’uomo moderno non e il discendente intelligente della scimmia poichè la scimmia non raccoglie mille noci di cocco per un padrone che poi, quale ricompensa, glie ne da una.

LA STORIA DELLE CANOCCHIE
Quando i fiumi avevano ancora l’acqua e nell’acqua c’erano ancora i pesci, Marcaccini pescava nel Rio Melo a Santandrea in Besanico. Un vecchietto passava tutti i giomi e sbirciava nel “carniere” per vedere i risultati, sempre scarsi, della pesca, allontanandosi poi con un sorriset- to di compatimento.

“Marco” s’indispettì e un giorno comprò un chilo di canocchie ancora vive e le mise nel carniere mentre una l’appese al filo immerso nell’acqua. Puntualmente il vecchietto anche quel giorno passò e fece due occhi così quando vide le canocchie muoversi nel recipiente e ancora di più quando ne vide estrarre un’altra dall’acqua. Disse: “Per la Madona! L’e stent’an ch’a pas ichè, mo l’è la prima volta ch’a vègh pischè al canoce te rì. L’e propie vera che e mènd e va d’arvers!”.

“Splendor” Walter Ricci

Walter Ricci per tutti “Splendor” è stato per anni un punto di riferimento nel suo lavoro, un vero e prorio persondaggio riccionese.

C’è chi ha vissuto una vita spericolata tra viaggi, avventure ed emozioni e magari è ancora alla ricerca di qualcosa che non c’è! E c’è chi ha vissuto una vita “idraulica” tra tubi, raccordi e chiavi inglesi rimanendo pienamente soddisfatto come Walter Ricci, per tutti “Splendor”.

Dopo una necessaria gavetta “sotto padrone”, nel 1955 Walter decide di mettersi in proprio. È talmente innamorato del suo lavoro che non conosce soste ed è prodigo di consigli. A lui si rivolgono in tanti: “Cus dis, l’è ora da cambié la caldera?” – “Un è trop prèst per arfè l’impiènt?”. Walter era molto contento in questi frangenti… perché assumeva (anche se il guasto era di poco conto) l’atteggiamento del “dottorone” e, dopo una pausa ad arte, esclamava: “E’ grave!”.

Poi restituiva la tranquillità all’interlocutore con un sorrisino tutto particolare e “… ma us mèt a post!”. Nel 1959 apre bottega assieme ai fratelli Nello e Fernando all’inizio di Corso F.lli Cervi, primo passo verso un’azienda commerciale in continua espansione. Poi sono entrati i figli, Roberto, Marco, Lucia, Andrea e Laura con idee fresche, moderne e Walter ha tirato un po’ il fiato ma ancora oggi a 92 anni ha sempre voglia di divertirsi e viaggiare, una vera e propria roccia.

Bruno Ricci “Bichina” salvato dal suo cane

0

Bruno Ricci «Bichina», la famiglia numerosa e la passione per la pesca e la caccia. Un vero e proprio personaggio riccionese che deve la vita al suo cane che lo salvò durante una battuta di caccia.

Nina Parma ad “Rusul”

Bruno Ricci, detto «Bichina», aveva due passioni che si possono considerare congenite: la caccia e la pesca. Sua moglie, la Nina ad Rusul, ebbe in 13 parti ben undici figli.

La miseria, garantita a 24 karati, mai gli impedì di cantare sereno le arie dei più aggiornati successi musicali. Sereno come sotto le scintille ardenti della benedizione di Dio, Bichina, proprietario di un fucile, di un moscone fatto da Angiòl, di qualche nassa, di un cogollo e di una tratta, non ebbe preoccupazioni.

Il mare, sempre generoso, gli rendeva l’indispensabile per nutrire i figli. Il fucile era l’hobby che riempiva i vuoti della sua esistenza, anche se la casa era piena zeppa di figli. Un meriggio di primavera, sul finire degli anni venti, fucile in spalla, si portò ai «cucci», postazioni in doppi capanni seminterrati ai margini di acquitrini, creatisi a sud di Riccione con le grandi piogge del 1924, che la gente chiamò «i guaz», punto di approdo della selvaggina proveniente dal cuore dell’Europa centro-orientale.

Naturalmente la Torbide, la cagna di “Faitoun” pazza di gioia, lo accompagnò fino alla postazione per raggiungere la quale il nostro Bichina, che si faceva le cartucce da solo, con carica maggiorata, deve aver impazzato entrambe le canne, come si dice in gergo venatorio, perchè al primo colpo il fucile gli si disintegrò nelle mani, provocando la fuoruscita dell’occhio sinistro e la sua caduta, privo di sensi, con abbondante fuoruscita di sangue.

La quasi umana intuizione, la prontezza di spirito della Torbide la indussero a una precipitosa ricerca di aiuto, a casa sua dove addentando i pantaloni del giovane Cicca, il figlio del padrone, non tardò a fargli capire che doveva seguirla con tutta urgenza. Tra un guaito e l’altro diceva parole, raccontava l’incidente, e fu così esplicita che lungo la via i soccorritori crebbero da uno a tre.

Il pronto intervento scongiurò l’emorragia, il ricovero ospedaliero salvò il giovane Bichina, il quale, nonostante tutto, non cambiò mai carattere. Figlio di carbonaio, rinunciò per amore della caccia e della pesca, ai promettenti aggi di un avviato fiorente commercio. Con uno degli eterni mosconi di Angiol, andò a calare reti d’imbrocco, e a salpare le sue nasse.

Però se il passaggio della selvaggina rendeva «l’aria strèta» non disdegnava di remare con il fucile a tracolla e sparare qualche colpo anche dal mare!

Estate 1958 – I vetturiali riccionesi

Riccione Estate 1958, i vetturali in attesa di una corsa in posa per una foto ricordo

In piedi da sinistra: Nello Villa, Conti (Fifoun), Sisto (Cupioun), Sirio Pecci (Zamarioun), Giuseppe Zammarchi (Pino). Accosciati: Alberto Molari (Berto), Nello Fabbri (Matiin), Felice Filippini (Cioli), Pierino Clementoni (Pipetta).

Famija Arciunesa dona dieci sedie a rotelle all’Ospedale Ceccarini

Famija Arciunesa ha consegnato dieci sedie a rotelle all’Ospedale Ceccarini portando così a termine il piano di donazioni concordato con i medici grazie alla raccolta fondi “Riccione Contro il Coronavirus”.

Famija Arciunesa ha consegnato dieci sedie a rotelle all’Ospedale Ceccarini come epilogo dell’iniziativa “Riccione Contro il Coronavirus” che durante la prima e la seconda ondata ha visto Famija Arciunesa donare: 2 ventilatori polmonari Dräger di ultima generazione (43.920 euro), Ecografo Sonosite SII di ultima generazione (25.620 euro), 1000 tute anti contagio Du Pont (6.466 euro) Ecografo portatile Vscan Extended (6.222 euro), 10 sedie a rotelle (1.200 euro) e 2 colonnine igienizzanti (780 euro). 

“Oggi con le 10 sedie a rotelle ultimiamo il programma delle donazioni concordato con i medici del Ceccarini” ha dichiarato Francesco Cesarini Presidente di Famija Arciunesa “tutto è stato possibile grazie a 948 singole donazioni di cittadini e associazioni, un gesto di solidarietà collettiva nei confronti del nostro Ospedale. A tutto il personale sanitario del Ceccarini va un grande grazie per quanto hanno fatto e stanno ancora facendo. Probabilmente completeremo le donazioni con altri buoni spesa per le famiglie in difficoltà, per le quali al momento abbiamo già destinato complessivi 12 mila euro”.

Soddisfazione anche da parte della Dott.ssa Bianca Caruso Direttore Medico dell’Ospedale Ceccarini “Una grande grazie a Famija Arciunesa per questa ennesima donazione, le sedie a rotelle sono già state smistate tra Pronto Soccorso, Chirurgia e Ortopedia, saranno utili come lo sono già tutte le precedenti donazioni.

Nella seconda ondata i due ventilatori polmonari di Famija Arciunesasono utilizzati in terapia intensiva anche per i due posti Covid ricavati in una zona isolata dal resto del reparto e li utilizzeremo in questo senso fin quando non ci metteremo alle spalle la pandemia. Per questo” ha concluso la Caruso “è necessario tenere sempre dei comportamenti responsabili, utilizzando la mascherina ed il distanziamento sociale”.

 

1984 – Quando Pietro Mennea correva al Comunale di Riccione

Riccione Agosto 1984 – Stadio Comunale stracolmo di gente sotto il sole: c’è Pietro Mennea!

All’interno del Meeting dell’Amicizia tra i Popoli si sfidano  sui 200 metri due mostri sacri della velocità.

Le tribune piene di gente in religioso silenzio attendono lo start e poi via! Un’emozione indimenticabile per assistere alla grande sfida: in 4° corsia il primatista mondiale Pietro Mennea e in 5° corsia l’americano Calvin Smith.

foto “Associazione Sportiva Dilettantistica Riccione Sessantadue”

Riccardo “Richi” Casonato, l’amico di tutti con il pallino della radio e della Tv

Riccardo Casonato una vita tra mixer e telecamere. L’eterno ragazzo di San Lorenzo, conosciutissimo in tutta Riccione, è tra i volti storici di RadioIcaro che nel 2021 compie 40 anni.

A Riccione lo conoscono quasi a tutti, a San Lorenzo togliamo il quasi. Riccardo Casonato, per tutti semplicemente Richi, fa i suoi esordi a Radio Icaro, a due passi da casa, negli anni ’80 quando la sede era in Via Santa Margherita Ligure proprio a San Lorenzo.

Riccardo “Richi” Casonato con Francesco Cesarini dopo un’indimenticabile intervista a Valeria Marini con Richi letteralmente “impazzito” per l’incontro ravvicinato serale.

Erano gli inizi della radio e le dediche erano molto richieste: a Richi venne addirittura data una trasmissione da gestire, “Richi sotto le stelle“: di sera il telefono squillava e Richi, dopo aver rovistato tra i vinili, trasmetteva le canzoni richieste.

Poi l’esperienza in Tv come cameraman e tecnico prima a Telegabbiano poi a La8. Spesso inviato sui campi di calcio a riprendere le partite con Marzio Cesarini al commento. Per semplificare la sua attività il consiglio era piuttosto chiaro “Richi segui sempre la palla” peccato che lo facesse anche quando questa finisse in tribuna. Ma fa niente.

La solarità e la simpatia di Riccardo non passano mai inosservate e così, dopo l’esperienza con La8, Richi ritorna a “casa” ad Icaro Tv dove tutt’ora si occupa della programmazione ed è attivo come aiuto regia.

Nello Fabbri detto “Prinoun”: da fiaccheraio ad albergatore

Nello Fabbri da fiaccheraio, a camionista e albergatore. Una storia come tante, specchio del miracolo riccionese: dalla miseria della guerra fino al benessere, figlio di lavoro e sacrifici sotto l’ombrello della Riccione turistica.

La Maria, anzi la nonna Maria, come ormai da tanti anni è abituata a sentirsi chiamare dai nipoti e dalle pronipoti, lavora con la sua vecchia e amata macchina da cucire e, di tanto in tanto, guarda dalla finestra, come per controllare che il suo Hotel Gambrinus sia ancora lì, a custodire tanti ricordi. Certo che, quando la nonna ti racconta l’aneddoto delle tagliatelle, non puoi non pensare che si tratti di uno di quei momenti cruciali, di svolta, dei tanti che ha vissuto con Nello, e che hanno segnato un’intera vita insieme.

LE TAGLIATELLE
Mentre la nonna Maria racconta, vedi Nello (non ha mai voluto che i nipoti lo chiamassero nonno, pur essendo un gran nonno!) seduto sulla carrozzella da ‘fiaccheraio’, davanti alla stazione dei treni ad aspettare i turisti ed i signori di allora, proprietari di ville a Riccione. È ora di pranzo, ma e bene non abbandonare il posto di lavoro, i soldi non sono molti e non si possono perdere clienti per andare a casa a mangiare. La dedizione della nonna però, alla causa comune, è totale e ogni giorno porta delle tagliatelle in una gavetta di alluminio a Nello, direttamente sul posto di lavoro! Nello già prepara la prima forchettata quando arrivano due turiste che hanno una gran fretta e non sono disposte ad aspettare la fine di quel pasto frugale. –E va bene!- esclama Nello – “Ma l’è l’utma volta, admèn a vènd tòt e a cambie mis-cìr-” Domani vendo tutto e cambio mestiere.-

I TRE-ASSI
Nello ascoltava il suo istinto quando gli indicava una decisione importante, una strada, una direzione del destino. Così inizia il periodo del tre-assi, mitico camion del periodo post-bellico, in società con il fratello Orfeo, per trasportare la ghiaia spalata nel fiume Conca, “- Al strède d’Arcioun – ci raccontava Nello –agl’avém fate noun!– ”. Lavoro duro, durissimo, e Nello non si risparmiava, le ore passate al lavoro non si contavano, ma il suo forte fisico glielo permetteva. Quindi fiaccheraio, e poi camionista.

L’ALBERGO
Ma dopo la nascita della seconda figlia, Rita, comincia a pensare ad un lavoro che possa offrire una prospettiva a lei e alla prima figlia Rosita. E’ il 1957, Nello ha quarantaquattro anni, per l’ennesima volta si reinventa, vende la casa e forte solo della sua volontà e dell’aiuto delle cambiali, acquista il terreno dove piano piano, anzi piano dopo piano costruisce l’attuale albergo, gestito ancora oggi dalle figlie e dai nipoti. E’ un periodo in cui Riccione si arricchisce di tante storie simili a questa, storie di famiglie unite nell’affrontare le difficoltà, le cambiali e i debiti arrischiati per realizzare un benessere che è sinonimo di tranquillità economica, per scacciare le paure e la povertà del dopoguerra.

LA MARIA
Così rinasce e si consolida la fama di Riccione capitale del turismo, dopo la notorietà degli anni ’30. E spesso, c’è una donna vicino a queste persone che hanno deciso di costruire qualcosa e di rischiare in un momento in cui sembra giusto rischiare: la moglie, che rimane magari un pò in ombra, e “Blancìn”, il giogo che veniva messo al bue per dirigerlo mentre tirava l’aratro. E’ il caso della Maria, da sempre sarta apprezzata, che da un giorno all’altro diventa cuoca e prende le redini della cucina del neonato albergo, per farsi apprezzare in questo nuovo lavoro almeno quanto lo era stata da sarta.

 

1956 – La famiglia Fabbri, da sinistra: Rita, Maria Raschi, Nello “Prinoun” e Rosita

Le immagini sono tante, si accendono improvvise lucciole di memoria per poi tornare, inafferrabili, nel luminoso buio dei ricordi: Nello e la Maria che la sera, pur stanchi, accompagnano i clienti dell’albergo al vicino “Savioli Dancing” e si divertono insieme a loro, Nello che porta il ghiaccio ai clienti in sala da pranzo, e ad ogni tavolo si ferma per un sorriso e una battuta, Nello che si spiega benissimo con i clienti stranieri, conoscendo solo qualche parola di tedesco e di francese, aiutandosi con la mimica e con la magia del dialetto romagnolo. Gli anni passano e arriva l’apporto fondamentale e innovatore delle figlie, dei generi Italo ed Oscar, dei quattro nipoti, per cambiare tutto, ma perchè nulla cambi. Non mancano inevitabili momenti di contrasto e incomprensioni, ma non scalfiscono il grande affetto, e tutto si ricompone a fine stagione, quando ci si ritrova insieme, stanchi e un pò esauriti, ma orgogliosi gli uni degli altri.

Negli ultimi anni Nello prende un terreno in campagna, per sognare i suoi ricordi e per mantenere in forma il suo fisico, ma non per abbandonare l’albergo, tutt’altro. Semmai per rifornirlo giornalmente di frutti e di ortaggi squisiti e dalle dimensioni inusitate, quasi fossero cresciuti contagiati dalla sua gioia di vivere.

IL MIRACOLO RICCIONESE
Molti commentatori “esterni” si chiedono quale sia il segreto del miracolo romagnolo. Le tante storie di Riccione, simili a quella di Nello e della Maria, sono il segreto. La Maria ha oggi ottantotto anni, si diverte giocando con le sue due pronipotine Greta e Alice, non si stanca mai di guardarle. Sono anche la sua consolazione, Nello purtroppo non c’è più. Quando si ritrova sola corre dalla sua vecchia amica, la macchina da cucire, perché non ha abbandonato la sua passione, e si immerge in un mare di stoffe e di tessuti. Ogni tanto sbircia dalla finestra. In cuor suo sa che dall’alto Nello la guarda e le fa sentire vicino il suo sorriso.

Luca Nicoletti (2002)

1921 Biagio Nazzaro, la prima squadra di calcio di Riccione

La Biagio Nazzaro Riccione è stata la prima squadra di calcio di Riccione. Nata grazie al Cav. Luigi Angelini sulla spinta dell’autonomia da Rimini interruppe l’attività per una squalifica.

Dovrebbe risalire al 1921 la data di nascita della “U S. R. “ (Unione Sportiva Riccionese) del patron  Cav. Luigi Angelini il quale insieme ai suoi collaboratori ha dato vita, sulla spinta dell’autonomia in arrivo, alla prima realtà calcistica riccionese. Agli inizi si parla di dilettantismo con i calciatori costretti a a pagarsi scarpe e divise e trasferta a proprie spese. Alcuni di loro, poveracci, attaccati tutto il giorno alla bacchetta del mincio o al manico del verricello, le domeniche in cui si giocava in casa, andavano in mare, al mattino presto, già vestiti da calciatori con sopra un vecchio pastrano e, tornando a riva pochi minuti prima dell’inizio del gioco, raggiungevano di corsa lo “Stadio” dove i tifosi attende- vano l’ingresso in campo dei loro beniamini. Per molti anni gli alfieri della “Biagio Nazzaro”disputarono, onorevolmente, e con grande soddisfazione degli sportivi, il Campionato di IIIa Divisione, che equivaleva all’attuale serie C (quasi).

LO STADIUM ALL’ ABISSINIA

Per tanti anni sul campo da calcio dello Stadium si svolsero incontri di calcio di alto livello.

Si giocava a quello che i riccionesi chiamavano l’Hangar (per intenderci il campo sportivo “stadium” di proprietà dei Ceschina dove oggi ha sede l’ASAR) che ai tempi della guerra fu un piccolo aeroporto militare allestito per apparecchi da ricognizione. La Società Stadium per la gestione dell’impianto era nata il 28 aprile 1921 e si prefiggeva di ospitare corse di cavalli, partite di calcio, gare ciclistiche e tiro a volo. Nel 1931 il Commendatore Ceschina rientrò nel pieno possesso dell’impianto. Solo nel dopoguerra nel campionato 1945-1946 di serie C – Lega Nazionale Alta Italia, vinto dal Carpi, il Riccione iniziò a giocare nel campo di Via Lazio.

1921 LA PRIMA SQUADRA DELLA BIAGIO NAZZARO RICCIONE
Una curiosità. Biagio Nazzaro era un pilota di motociclismo molto apprezzato che perse la vita il 15 luglio del 1922 in un incidente durante il Gran Premio di Francia sul circuito di Duppigheim a Strasburgo. Di qui la decisione di intitolargli il sodalizio riccionese. Ancora oggi a Chiaravalle (AN) la squadra locale è chiamata Biagio Nazzaro.

1921 – Biagio Nazzaro Riccione. Da sinistra Fabbri R. – Renzi P. – Fabbri M. – Angelini E. – Rastelli G. – Zanzani E. – Renzi U. – Cesarini B. – Fabbri C. – XX – Urbinati C. – Fabbri P. – Luigi Angelini dirigente instancabile insieme a Leo Mancini, il dott. Pier Giacomo Graziosi e Antonio Pin (portiere e allenatore).

La squadra riccionese della “Sport Club Biagio Nazzaro“, cresciuta con l’autonomia comunale, in luce per aver diffuso lo sport a Riccione avviando molti giovani a diverse discipline e particolarmente al popolare gioco del calcio cadde in una crisi irreversibile a causa di un episodio di campo. La causa del tracollo fu dovuta alla pesante multa da pagare e alla squalifica della squadra per l’intera stagione nonché alla interdizione di “Gigin“Angelini a ricoprire cariche sociali per 10 anni.

1930 IL FATTACCIO DI ARGENTA E LA RINUNCIA AL CAMPIONATO
Tutto questo perché in occasione della partita di campionato con l’Argentana, un rigore concesso, non meritato, a giudizio dei più, diede l’avvio a deprecabili atti di violenza tra i giocatori, sfociato nell’invasione di campo da parte dei tifosi locali. Finì in un “vallo di botte”. L’arbitro, principale accusato, dopo aver preso una forte porzione d’improperi e di percosse, riuscì a svincolarsi scappando verso lo spogliatoio; rincorso fuori del campo dovette subire rincarata violenza. La spada della giustizia sportiva cadde pesantemente e mise a terra il sodalizio riccionese.

La società diede forfait, si arrese. In soccorso venne il Dopolavoro Sportivo del Fascio che si accollò l’attivo e il passivo e diede una nuova veste alla società sborsando 5.000 Lire. Cambiava il nome, ma per gli sportivi riccionesi, negli anni a venire, rimarrà nel cuore il nome e lo spirito indomito della “Biagio Nazzaro”.