Il gatto nel capanno
Non so se vi sia mai capitato di chiudere involontariamente un gatto in uno spazio ristretto, come uno sgabuzzino, un garage o un capanno. Il povero animale si sarà molto innervosito e nel momento in cui avrete riaperto la porta, sarà fuggito correndo come non lo avevate mai visto correre prima. Ecco, in questo periodo noi, costretti a starcene chiusi in casa, a causa di questa brutta pandemia, siamo come quel gatto.
E quando finalmente verrà qualcuno a dirci che possiamo uscire, che abbiamo riconquistato la nostra libertà, come quel gatto correremo all’impazzata. A meno che tra noi e quel povero animale spaventato non ci sia qualche differenza, e non siamo riusciti ad utilizzare questo tempo di chiusura forzata per riflettere su quella che era la nostra vita prima che tutto ciò accadesse.
Mi viene in mente un mio vecchio amico che ogni volta che ci incontriamo, alla mia consueta domanda: “come stai?”, mi risponde sempre, in dialetto: “a s’aruglém” (ci ruzzoliamo); che è una bellissima risposta. Una risposta simpatica, una battuta, sulla quale però ho sempre riflettuto. Stiamo ruzzolando.
Un gioco divertente, finché si è bambini, ma che crescendo, potrebbe portare a perdere il controllo, a scendere a rotta di collo senza freni, senza più rendersi conto di dove si stia andando e, soprattutto, senza neppure più la consapevolezza di stare rotolando.
Dovremmo cercare di dirglielo a quel gatto, prima di liberarlo dal capanno.
Francesco Gabellini