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Nuovo libro sul dialetto: 555 chili di salsiccia!

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Il volume in formato A4 di 196 pagine tratta argomenti con storie, proverbi, aneddoti ed è corredato da un vocabolario con 5700 parole e 1200 verbi. 

Info e prenotazioni: Giuseppe 338 4304667

Questo “Cercaparole” Italiano-Riccionese è nato con la “presunzione” del sottoscritto di fornire al lettore non solo un motivo di mera consultazione ma, soprattutto, l’occasione per scoprire il dialetto di Riccione, apprezzandone le sfumature, l’essenzialità, la concisione e l’Unicità… cogliendone l’anima.

Non è un “vezzo” averlo intitolato “555 chili di salsiccia”; consideriamolo un “cuneo” che scardina l’immaginario portone dietro cui palpita il dialetto ruspante, il dialetto fatto di splendide parole onomatopeiche, il dialetto delle frasi stringate eppure illuminanti. Partiamo con alcuni esempi aventi al primo posto il titolo stesso: “555 chili di salsiccia!”. 

In tempi non tanto lontani l’attaccamento al luogo di nascita e alle proprie origini, era alquanto radicato e veniva difeso con tutte le forze. Si ergevano vere e proprie “barriere” fisiche per impedire intrusioni non gradite. Davanti ai locali da ballo, sovente stazionavano delle specie di “picchetti” che cercavano di individuare chi veniva dai paesi limitrofi e attivare manovre atte a sviare temuti approcci con le ragazze più appetite, quasi a scongiurare eventuali “Ratti delle Sabine”.

Oppure si innalzavano mura dialettiche per smascherare gli “stranieri”. Se poi si giungeva al parlato quotidiano, venivano derisi intercalari, cadenza e pronuncia. Per smascherare un “Sipulèin” (così venivano etichettati i riminesi da chi viveva nell’entroterra) che cercava di spacciarsi per riccionese lo si sottoponeva ad una  ardua prova; doveva tradurre nel dialetto della Perla verde la frase: “Cinquecento cinquanta cinque chili di salsiccia”. 

Difficilissimo che riuscisse nell’intento, visto che a “casa sua” la C si pronuncia Z… per cui ne usciva un bel “Zinzènt zinquènta zinch chél ad zunzéza” invece di “Cincènt cinquènta cinq chél ad sunsécia”. 

C’è poi il detto: “L’ha bivù l’aqua de Beat Alés”, per indicare la persona che, nata altrove, mette radici a Riccione per i motivi più disparati e… si sente “nativo”. Famoso il signore che intervenendo in una assemblea rionale dove si discuteva di problemi viari se ne venne fuori con un simpatico e sgrammaticato: “Noantri de Riccione semo convinti che…!”. Costoro, se non così apertamente individuabili, venivano smascherati con l’invito a tradurre la seguente frase:  Coj sò che ghéfle saltrèin!” cioè “Raccogli quel gomitolo da terra”.  I più intuitivi riuscivano nella prima parte ma cadevano nel finale. Quel “saltrèin” (da terra), usato a Riccione e quasi niente nei paesi vicini, era erroneamente tradotto: “sul treno”.

Ora leggete a voce alta questa frase: “La va via tòta tinca che e pèr l’ava ingulè un s-ciadur!”. “Va via tutta impettita che sembra abbia ingoiato un matterello…!”. Poi chiudete gli occhi. Ecco che corre un filmato… Ci fa essere presenti sul luogo del passaggio di quella signora.

Ci sembra di conoscerla, di sapere dove va e cosa fa.  Ci viene voglia di criticarla, di sorriderle, di salutarla… Potenza del dialetto! Buona lettura.

Giuseppe Lo Magro

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