Edmo Vandi bambino e la mattinata passata sui campi in terra rossa di Villa Mussolini con il Duce che giocava con Domenico “Dogi” Galavotti. Con finale a sorpresa… La fusaja e e s-ciafoun ad Sdèin.
In quel pomeriggio di fine luglio 1942, mio padre Virgilio svolgeva il suo lavoro di giardiniere comunale nei giardini pubblici che oggi sono intitolati a Luigino Montanari.
Ero ancora un bambino e mio padre mi portava con se sul lavoro per non lasciarmi a casa da solo. Quel giorno mi comprò dieci centesimi di lupini (la popolare “fusaja”) contenuti nel classico cono di carta gialla, poi mi disse: “Sta i ché sa mé, nu va da lèngh”. Li vicino però c’erano (e ci sono) i campi da tennis dove in quel pomeriggio stava giocando una coppia, che poi ho saputo trattarsi di un maestro di tennis riccionese e un signore vestito di bianco che si chiamava Benito.
Trovo un cancello aperto, entro e, sgranocchiando la mia fusaja, assisto incuriosito a quell’accanito scambio di palle. All’improvviso come per un colpo di fulmine mi arriva uno schiaffone a mezza guancia che mi invornisce e mi fa saltare per aria i lupini. Corro urlando e piangendo da mio padre che, allarmatissimo, mi chiede cos’è stato. Cerco di raccontare disperato, che un vecchio mi ha colpito mentre ero là a guardare giocare a tennis. Mio padre, inferocito, si precipita verso i campi quando, all’ingresso viene fermato da due uomini armati che lo bloccano.
A questo punto, richiamato dal clamore, accorre uno dei due tennisti, il maestro riccionese Domenico Galavotti, detto “Dogi”, il quale, riconosciuto mio padre, ferma tutto e chiede spiega- zioni, spiegazioni che qualche anno più tardi apprendo anch’io. I fatti si erano svolti così: la mia presenza sul campo da tennis aveva tratto in inganno il custode (il burbero Sdèin) il quale mi aveva scambiato per uno dei ragazzini raccattapalle e, vedendomi immobile a mangiucchiare lupini, mi aveva punito con il sonoro ceffone che mi aveva arrossato la guancia sinistra e fatto volar via la preziosa fusaja. Chiarite come erano andate le cose, ritorniamo ai giardini.
Qui, dopo pochi minuti, ci raggiunge uno dei due “questurini” che porge a mio padre una carta da dieci lire e un cartoccio di lupini spiegando che vengono da quel signore vestito di bianco che giocava a tennis, di nome Benito. Virgilio ringrazia e sollevato mi dice:”Tvèd cus che sucèd a magnè la fusaja du chi giuga a tenis!”
Edmo Vandi