Riccione da piccolo borgo di case fino all’autonomia e passando per la guerra ha conosciuto anche momenti di grandissima difficoltà economica. In diversi snodi sono stati fondamentali gli aiuti per i poveri nel superare i gelidi inverni: “Una mnèstra chèlda” – Una minestra calda.
Fine ‘800
La società di Mutuo soccorso nacque a riccione il 26 novembre 1886. Ad essa aderirono quasi tutte le categorie: esercenti, professionisti, artigiani, operatori vari.
Dal barbiere al farmacista, dal cementista al mediatore, dall’albergatore all’idraulico … ci fu solidarietà massima per portare aiuti ai più deboli. Tra le attività spiccano le “Cucine economiche” create per distribuire giornalmente pasti caldi alle persone in difficoltà.
Le cronache dell’anno 1896 ci parlano di un inverno estremamente rigido
che provocò il fermo della pesca e di tanti altri lavori per quasi due mesi. Le misere provviste di pescatori e lavoratori dei campi e dell’edilizia si esaurirono riducendo una fetta di popolazione alla fame.
Si aprì una sottoscrizione e i soci della s.d.M.s. si impegnarono nella distribuzione di oltre 250 minestre giornaliere. Un contributo eccezionale giunse dalla munifica Maria Ceccarini:100 lire! Tanto per chiarire: il bilancio annuale 1894 della Società fu di poco più di 1.000 lire.
1929-1934
Il 1929 è ricordato come l’Anno del nevone perchè la neve caduta raggiunse misure eccezionali. Fu una crisi terribile e per un po’ di calore le persone arrivarono a tagliare anche le piante da frutta. Fino al 1934 gli inverni furono altamente inclementi e le cucine economiche ebbero gran lavoro. Una testimonianza dell’anno 1931 ci viene dai racconti di Rodolfo Ciotti. Allora, solo dodicenne, ma già responsabile e diligente, era incaricato dalla famiglia al ritiro delle razioni alimentari.
Con la capace pentola di terracotta, tenuta su da una cordicella passata per i manici, si recava giornalmente presso la Congregazione di carità nella sede della Casa del Fascio. Grazie alla sua simpatia era divenuto amico del cuoco “Gigioun” e aveva ottenuto di poter “ripassare” le grandi marmitte, ricavando così “qualcosa” da mettere sotto i denti.
Un brutto giorno, nel ritornare a casa tagliando per i campi per ridurre il tragitto, inciampò in una radice e tutto il contenuto della pentola (una minestra molto – molto allungata di riso e fagioli) finì nella terra, assorbito in un batter d’occhio. Arrivò a casa sconfortato, trovando genitori e fratelli seduti a tavola col cucchiaio in mano, “com di castrisèt te nid chi aspitèva l’imbichèda”. Sicuramente fu sgridato, ma non più di tanto, perchè i suoi sapevano quale sacrificio fosse per lui mascherare la miseria, azzerando la dignità, nel presentarsi ogni giorno a “chiedere” quelle minestre.
1947-1951
Dopo la Liberazione, la Casa del Fascio di Riccione fu abbandonata dai fascisti e molti organismi vi si trasferirono lasciando sedi anguste e disagiate.
Per prima entrò la Camera del Lavoro, seguita da P.C.I., P.S.I., A.N.P.I. e P.R.I. Furono allestite varie attività come la palestra per la boxe e, ad opera del Fronte della gioventù, si organizzarono eventi danzanti e venne riattivata la “Mensa dei poveri” che già durante la guerra aveva dato sollievo alle famiglie bisognose.
Tra la gente si diceva, erroneamente, che era la Minestra dei Comunisti mentre in realtà la forniva l’E.C.A. (Ente Comunale di Assistenza). La distribuzione era gratuita per chi aveva la tessera di povertà e a prezzo minimo per gli altri. A richiedere “e papòun” (il pappone) per i suoi fedeli c’era anche il buon don Tmas, arciprete di san Martino.